Muffe Alimentari: Pericolo o Inutile Allarmismo?

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Quando si ha a che fare con le muffe (visivamente così anti estetiche), sia che si parli di quelle alimentari, che di quelle presenti sulle pareti, le domande ricorrenti sono sempre le stesse: da dove provengono le muffe? Dove si sviluppano? È possibile mangiare alimenti ammuffiti? Ma se gli alimenti ammuffiti fanno male, perché allora si può mangiare il gorgonzola?

Facciamo allora un po’ di chiarezza, per capire se quando si parla di muffe si è davvero di fronte ad un pericolo reale o davanti ad inutili allarmismi.

Le muffe come del resto i lieviti, appartengono al regno dei Funghi ed entrambi (anche se diversi dal punta di vista cellulare) sin dai tempi antichi hanno fornito contributi importanti nelle produzioni alimentari. Proprio per questo motivo tali muffe possono essere definite “utili”.

La preparazione del pane o delle bevande alcoliche, come il vino e la birra, non sarebbero mai avvenute in assenza dei lieviti. Lo stesso dicasi per la prelibatezza dei formaggi erborinati (quelli che all’interno della pasta presentano colonie di muffe che si palesano sotto forma di venature color verde, grigio o blu) di cui in Italia i più famosi sono il gorgonzola (di origine lombarda) e il blu di capra (di origine piemontese), il Roquefort all’allargando lo sguardo all’Europa, proveniente dal centro della Francia. Tutti formaggi dalle particolari tipicità che in assenza delle muffe non sarebbero mai esistite.

Come del resto quanti sanno che un metodo che permette di limitare la contaminazione degli insaccati da parte di muffe indesiderate, che possono aggredire il prodotto in tempi successivi alla sua produzione, è quello che utilizza starter fungini? Ossia, quelle muffe “utili” ed innocue,  che vengono appositamente spalmate sui budelli naturali e quindi sulla superficie dei prodotti, all’inizio del periodo di stagionatura, come azione preventiva ma anche competitiva nei confronti di muffe alteranti che altrimenti lo aggredirebbero.

La storia però ci ha anche insegnato che proprio grazie alle muffe ed in particolare grazie al Penicillium Notatum Chrysogenum nel 1928 sono stati prodotti i primi antibiotici che tante vite hanno salvato (da un paio di secoli a questa parte) sconfiggendo svariate malattie, tra le quali  la polmonite, la difterite e la gonorrea (per citarne solo alcune), senza mettere a rischio l’organismo umano.

A fronte di ciò però oggi, siamo consapevoli dell’esistenza di microrganismi fungini tanto subdoli da tenere sempre con il fiato sospeso, soprattutto coloro che lavorano nel campo della Sicurezza Alimentare, perché additate come responsabili di malattie anche molto gravi. La causa? la produzione di micotossine (connubio della parola greca mikes = fungo e quella latina toxicum = veleno) talmente tossiche, da essere capaci di inquinare le derrate alimentari e non solo, risultando molto pericolose sia per la salute dell’uomo che degli animali.

I maggiori “produttori” di micotossine, di cui oggi si sente spesso parlare, risultano i funghi appartenenti ai generi:

Aspergillus, da cui si producono vari tipi di micotossine che vanno sotto il nome di  aflatossine (potenzialmente presenti in cereali, frutta secca e latte);

-Penicillium da cui si sviluppano come micotossine  le ocratossine (potenzialmente presenti nei cereali) e le patuline (micotossina che può essere riscontrata nei succhi di frutta);

Fusarium da cui derivano le zearalenoni e le fumonisine (entrambe potenzialmente presenti soprattutto nel mais), oltre alle micotossine tricoteceni (che possono riscontrarsi nel frumento, orzo, avena, segale e mais).

Tutte le micotossine citate possono svilupparsi in maniera diretta sulle piante, sia durante la coltivazione che in fase successiva (nello stoccaggio), e derivano da funghi che possono essere definiti muffe “pericolose e dannose” in quanto, secondo diversi studi portati avanti negli anni, presenterebbero effetti che possono risultare in alcuni casi cancerogeni, in altri casi nefrotossici, epatotossici, immunotossici ed anche mutageni.

A questo tipo di contaminazione diretta però si affianca una contaminazione che può essere definita indiretta, che si riscontra nel caso in cui le tracce di micotossine vengano ritrovate nei prodotti di derivazione animale, come accade a volte nel latte. In questo secondo caso appare ovvio che l’animale trasmette all’alimento la micotossina acquisita mediante i mangimi contaminati, di cui si è nutrito.

E le muffe che osserviamo sugli alimenti presenti in casa, a quale tipo appartengono?

Sicuramente sono delle muffe “alteranti”, perché alterano l’alimento dal punto di vista organolettico (odore, sapore, colore e consistenza) e sono molto visibili, il che è un vantaggio! perché per istinto si tende a non consumare l’alimento da esse contaminato e a scartarlo immediatamente.

Queste muffe sotto forma di spore, microscopiche e volatili, si propagano un po’ ovunque trasportate dal vento, dalla pioggia o anche mediante gli insetti, per adagiarsi e poi crescere negli ambienti a loro più idonei. Bisogna stare attenti allora in presenza di temperature tra i 15 ed i 30 °C, agli ambienti con umidità superiore al 65%, agli alimenti acquosi ricchi di zuccheri e proteine, ad alimenti con valori di pH compresi tra 4 e 8. Tutti elementi, quelli appena citati, che possono avvantaggiare la crescita di muffe su alimenti conservati non solo in cucina, ma anche nei frigoriferi.

Dando allora qualche consiglio di facile applicazione,  possiamo dire che mangiare un alimento con la muffa, per sbaglio o disattenzione non provoca di per se danni, ma il problema sorge quando il cibo ammuffito è una costante nella propria alimentazione. Il pericolo potrebbe esserci nel caso di ingestione costante di prodotti come cereali e latte o frutta secca, contenenti micotossine quali le aflatossine, ocratossine e fumonisine. Volendo rassicurare i lettori si ricorda che vista la pericolosità di tali sostanze, per esse sono state istituite normative comunitarie ad hoc, che obbligano i produttori a controllare gli alimenti da essi prodotti, prima della loro immissione sul mercato, a garanzia e a tutela della salubrità igienico-sanitaria a favore dei consumatori.

Oltre a ciò, si è riscontrato fortunatamente che anche se le micotossine si trovano all’origine di un prodotto non sempre vengono mantenute anche nelle fasi successive, come nel caso degli arachidi. Infatti, quand’anche gli arachidi possano contenere all’origine aflatossine, l’olio che da essi deriva ne risulta privo poiché i metodi di lavorazione e di estrazione che portano ad ottenerlo, riescono ad abbattere la tossinogenicità, se non ad eliminare del tutto queste sostanze. Lo stesso dicasi per il grano. Anche in questo caso pur se presenti aflatossine non solo nel grano, ma anche nelle farine da esso ottenute, queste micotossine verrebbero notevolmente degradate nella preparazione di prodotti da forno grazie alle alte temperature a cui vengono sottoposti per la cottura.

Volendo capire allora se un alimento ammuffito va buttato o meno, come si fa?

Se vediamo in casa del pane ammuffito, va gettato all’istante perché oramai il fungo che lo ha contaminato è penetrato in profondità. Occhio naturalmente anche al porta pane che lo contiene, oramai contaminato anch’esso, dovrà essere assolutamente sanificato!

E nel caso dei formaggi? I formaggi più stagionati potranno essere accuratamente ripuliti e consumati, meglio ancora se consumati cotti per qualche ripieno. I formaggi freschi (come ricotta, mozzarella, yogurt, etc.) andranno al contrario allontanati poiché le micotossine in essi contenute, oramai sparse per tutto il prodotto, lo rendono inappropriato al consumo. È chiaro che i formaggi erborinati, di cui già accennato, possedendo muffe innocue definite starter possono essere consumati con tranquillità tranne nel caso in cui ci si trovi di fronte a soggetti che risultano allergici alle muffe alimentari e per i quali, non solo è assolutamente sconsigliato il consumo di prodotti erborinati, ma conviene che essi non entrino in alcun modo in contatto con qualsiasi alimento che abbia in esso, anche un solo accenno di presenza fungina.

Per la carne e per il pesce non conviene invece correre rischi, quindi al primo cenno di contaminazione vanno gettati, mentre per la frutta va distinto tra frutta molto succosa, come pesche, uva ed albicocca che se contaminata non può essere salvata e tipi di frutta più soda, come la mela, per la quale basta eliminare la parte contaminata. Infine per marmellate e confetture possiamo stare tranquilli che anche se contaminate leggermente possono essere ripulite e consumate. In questo caso infatti, il legame tra lo zucchero presente nel prodotto e l’acqua, impedirà alle tossine di proliferare.

Come ultimo consiglio ricordiamo ai consumatori e agli appassionati di cucina che le spore si trovano nell’aria e nell’ambiente circostante, quindi conviene sempre coprire gli alimenti con pellicole e coperchi o conservarli in contenitori chiusi ad uso alimentare, che ne evitino il loro adagiarsi e proliferare. Avendo anche appreso però che i microrganismi fungini possono crescere in presenza di un’alta percentuale di umidità, impariamo a combattere la presenza delle muffe sanificando spesso il luogo dove con più facilità possono crescere, ossia il frigorifero!

 

Dr.ssa Sabina Rubini

Biologa ed Esperta in Sicurezza degli Alimenti
Consulente Aziendale

Co-founder ISQAlimenti.it