Ghiaccio Alimentare

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Tutti pensano di conoscerlo, ma in realtà è disconosciuto a molti.

Con l’avanzare dell’estate aumentano le temperature e ognuno di noi applica ogni sistema pur di trovare refrigerio. Oltre all’uso pressoché costante dei sistemi di condizionamento dell’aria e dei ventilatori molti cercano di refrigerare gli alimenti e le bevande attraverso il consumo di piatti freddi e di bevande fredde. Per ottenere questi risultati spesso si adopera il ghiaccio (raffreddamento della frutta, cocktail, ecc.).

Ma questo ghiaccio è sempre sicuro? E’ più sicuro quello di casa o quello del bar? Una volta prodotto come va gestito e conservato?

Vediamo di fare un po’ di chiarezza.

Premesso che esistono diversi tipi di ghiaccio, che ovviamente possiedono caratteristiche differenti secondo l’uso che se ne deve fare (industriale, contro i traumi, ecc.), con il termine ghiaccio s’intende il prodotto del congelamento dell’acqua quindi la fase solida di questa.

Per Ghiaccio Alimentare (o commestibile), invece, si intende il ghiaccio preparato con acqua potabile, quindi conforme al D.Lgs. 31/2001, che alla fusione si deve  trasformare in acqua avente le stesse caratteristiche fisico-chimiche e microbiologiche dell’acqua potabile utilizzata per la sua produzione. Pertanto per ghiaccio alimentare s’intende quel ghiaccio che può venire a diretto contatto con gli alimenti e quindi essere consumato, di conseguenza questo ghiaccio è un alimento a tutti gli effetti.

Fondamentalmente esistono tre tipi di ghiaccio alimentare:

  1. il ghiaccio domestico. Questo ghiaccio, generalmente a forma di cubetti pieni, è quello che viene preparato in casa utilizzando il reparto congelatore/freezer dei frigoriferi. E’ utilizzato per vari impieghi, ma per lo più per scopi edonistici (cocktail, raffreddamento della frutta, ecc.). Questo ghiaccio, essendo preparato utilizzando contenitori aperti, tende a incorporare gli eventuali odori degli alimenti presenti all’interno del frigorifero (melone, pesce, ecc.) se non sigillati di conseguenza può assumere sgradevoli sapori. Per lo stesso motivo questo ghiaccio può essere contaminato da muffe, infatti, nei moderni frigoriferi e freezer si ha il circolo forzato dell’aria fredda (sistema conosciuto come “no frost” che evita la formazione della brina e del successivo ghiaccio sulle pareti e nei ripiani) che può trasportare sul ghiaccio le spore fungine, che spesso contaminano i frigoriferi. Generalmente questa situazione non genera rischi per la salute, ma nonostante ciò è bene evitare che questo ghiaccio soggiorni mesi nel nostro freezer insomma è buona consuetudine effettuare il turnover del ghiaccio alimentare domestico ogni 2-3 settimane;
  1. il ghiaccio per pubblici esercizi. Questo ghiaccio, detto anche da autoconsumo, viene prodotto nei pubblici esercizi (quali ristoranti, bar, pub, alberghi, pescherie, ecc.) attraverso l’uso di specifica attrezzatura (macchine da ghiaccio) in grado di produrre continuativamente ghiaccio (da 10 kg a oltre 200 al giorno). Questo ghiaccio deve essere utilizzato nell’ambito delle attività connesse all’esercizio (preparazione di cocktail, raffreddamento delle portate di frutta, raffreddamento delle bottiglie di vino bianco, esposizione dei pesci, ecc.) e non può essere venduto tal quale. In Italia si producono circa 200mila tonnellate all’anno di questo tipo di ghiaccio per lo più a forma di cubetti pieni o cavi (che si scioglie più rapidamente per la maggiore superficie esposte), granulare, a scaglie, a lastre, ecc.

Anche questo ghiaccio deve essere prodotto da acqua potabile conforme al D.Lgs. 31/2001 quindi provenire dalla rete idrica pubblica. A questo proposito va detto che il gestore locale di quest’acqua la garantisce sino al punto di consegna che spesso coincide con il contatore dell’acqua di conseguenza questo rappresenta la linea di demarcazione dell’eventuale responsabilità tra il gestore ed il titolare dell’impresa alimentare (es. del bar). Questo aspetto è molto importante in quanto quando capita che il ghiaccio prodotto risulta contaminato il titolare dell’attività cerca di scaricare le colpe sul gestore il quale raramente ha delle mancanze. Molto spesso tale contaminazione è dovuta alla non manutenzione della rete idrica interna e della macchina del ghiaccio, alla non periodica sanificazione delle eventuali cisterne e/o serbatoi dell’acqua (che si utilizzano nei periodi restrizioni idriche) e delle apparecchiature adoperate per la produzione dell’acqua, alla frequente non considerazione della generazione del ghiaccio come un potenziale rischio da esaminare nel sistema HACCP aziendale (Reg. 852/2004) che quindi viene ad essere un CCP (Punto Critico da Controllare) da monitorare analiticamente almeno una volta all’anno attraverso la ricerca microbiologica sul prodotto finito (ghiaccio) e per valutare la potabilità dell’acqua nei punti di utilizzo (cioè dai rubinetti da cui si preleva per produrre il ghiaccio). Altro punto critico di questo tipo di ghiaccio può essere la sua manipolazione e la conservazione. Al fine di evitare contaminazioni bisogna rispettare il sistema FIFO, la corretta igiene della persona, fare la formazione e sensibilizzazione del personale alimentarista e applicare sempre le corrette prassi igieniche.

Qualora si utilizzi come materia prima per produrre il ghiaccio, l’acqua proveniente da pozzi autorizzati, questi devono possedere determinate caratteristiche (attingere acqua da falde protette quindi non inquinate, ecc.), si devono effettuare controlli costanti dei parametri fisico-chimici e microbiologici e l’acqua andrà resa conforme a quanto indicato dal D.Lgs. 31/2001 attraverso specifici trattamenti (es. addolcimento, affinamento, disinfezione).

Nel ghiaccio alimentare da autoconsumo, quando contaminato, possono essere presenti diverse forme batteriche patogene e patogene opportuniste (enterococchi, coliformi, pseudomonas, bacillus, pantoea spp, agrobacterium, ecc.), lieviti (pichia e candida) e muffe (penicillum spp, ecc.). Una recente indagine effettuata dalla BBC nel Regno Unito ha evidenziato che in alcuni cubetti di ghiaccio (prelevati dai bicchieri delle bevande preparate in caffetterie facenti parte di note catene internazionali) vi erano addirittura dei batteri fecali (microrganismi indicatori della scarsissima igiene del personale alimentarista e delle macchine usate per la produzione del ghiaccio) che  non dovrebbero essere assolutamente presenti;

  1. il ghiaccio industriale. Questo ghiaccio è prodotto in specifiche aziende autorizzate e registrate per tale attività e viene commercializzato confezionato nel rispetto delle norme vigenti (Reg. 1169/2011, Reg. 178/2002, ecc.). In Italia annualmente si producono circa 20mila tonnellate di ghiaccio alimentare di tipo industriale nelle le più disparate forme. Anche questo ghiaccio deve essere prodotto da acqua conforme al D.Lgs. 31/2001 quindi potabile.

Di norma questo ghiaccio è quello più sicuro dal punto di vista igienico-sanitario, ma tale requisito può andare perso se chi lo acquista ne fa un cattivo uso (scorretto stoccaggio, errata manipolazione, ecc.).

A seguito della contaminazione microbiologica del ghiaccio si potrebbero manifestare diverse infezioni e/o tossinfezioni con esiti diversi a seconda della dose infettante (cioè del numero di microrganismi presenti nel ghiaccio) e dello stato di salute individuale. I soggetti più a rischio sono i bambini, gli anziani, gli immunodepressi (cioè con le difese immunitarie ridotte) e i defedati. Spesso il ghiaccio contaminato è una delle principali cause di infezioni e gastroenteriti durante i viaggi in alcuni Paesi specialmente nei mesi caldi.

Anche per il ghiaccio alimentare, come per moltissimi alimenti, esistono dei falsi miti difficili da screditare. Sicuramente il più diffuso è quello secondo il quale le basse temperature uccidono i microrganismi e quindi il ghiaccio, in quanto prodotto e mantenuto ad una temperatura inferiore agli zero gradi, è sterile cioè privo di ogni forma microbica. Non c’è mito più falso in quanto le basse temperature riescono ad uccidere solo una percentuale molto bassa di microrganismi e di norma evitano solo la loro proliferazione. Di conseguenza quando il ghiaccio passa allo stato liquido gli eventuali microrganismi presenti diventano attivi (cioè in grado di proliferare) e pericolosi soprattutto se vengono a contatto con alimenti che non subiranno la cottura.

Altro falso mito duro da sfatare è quello per cui se del ghiaccio contaminato da microrganismi viene messo in bevande alcoliche (quindi ricche di alcol etilico come i superalcolici) o frizzanti (cioè che contengono anidride carbonica – CO2) i microrganismi vengono totalmente uccisi. Ciò non è vero poiché solo alcune forme batteriche vengono eliminate mentre altre tendono a diminuire di numero ed altre ancora non vengono interessate da tale parziale opera di bonifica.

Si conclude questo viaggio nel ghiaccio alimentare ricordando che l’Italia, in merito a questo particolate alimento, è sicuramente uno dei Paesi più all’avanguardia in Europa infatti è stato il primo Paese a elaborare (Ministero della Salute – maggio 2015) il cosiddetto “Manuale di corretta prassi operativa per la produzione di ghiaccio alimentare” quale utile ed indispensabile strumento per gli addetti ai lavori al fine di produrre ghiaccio igienicamente sicuro  (http://www.salute.gov.it/imgs/c_17_paginearee_1187_listafile_itemname_0_file.pdf).

Sempre in Italia esiste l’INGA (Istituto Nazionale Ghiaccio Alimentare), ente no profit, che promuove la corretta informazione sul ghiaccio alimentare (http://www.ghiaccioalimentare.it).

© Produzione riservata

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Dr. Luciano O. Atzori
Biologo – Esperto in Sicurezza degli Alimenti e in Tutela della Salute
Divulgatore Scientifico
Co-founder dello ISQAlimenti.it