Interferenti Endocrini: i nostri nuovi compagni di vita…

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Alcuni dicono che queste sostanze chimiche sono seriamente pericolose per la salute umana e per l’ambiente. ISQ Alimenti indaga in merito mettendo in luce alcune scomode verità…

Secondo l’OMS, nei Paesi industrializzati, l’infertilità e/o l’ipofertilità di coppia (cioè la ridotta capacità di fecondare) colpisce circa il 15-20% delle coppie. Solo in Italia, secondo recenti dati ISTAT, ogni anno si registrano circa 60 mila casi di persone (cioè il 20-25% delle nuove unioni) che riscontrano difficoltà nell’avere una gravidanza.

Le cause possono essere tante: errati stili di vita (es. il fumo, scorrette abitudini alimentari), inquinamento ambientale, fattori psico-emozionali, condizionamenti sociali, ma nell’ultimo decennio parecchi studi stanno evidenziando che una categoria di sostanze chimiche con le quali conviviamo quotidianamente, ovviamente ignorandolo, possono influire pesantemente sulla fertilità di coppia. Queste sostanze sono anche sospettate di essere la causa di tumori ormono-dipendenti, di disturbi neuro comportamentali e di altre patologie oltre che interferire con lo sviluppo cerebrale.

Ma chi sono questi silenti e occulti nuovi compagni di viaggio che, volenti o nolenti, ci fanno “compagnia” ogni giorno della nostra vita? Dove si trovano e come agiscono sul nostro organismo? Il loro nome è Interferenti Endocrini (IE). Vediamo di conoscerli meglio.

Cosa sono gli Interferenti Endocrini?

Vista la stretta correlazione tra il sistema endocrino (più conosciuto come sistema ormonale) e gli interferenti endocrini, per meglio capire cosa sono e come funzionano queste emergenti sostanze chimiche, risulta necessario spiegare sinteticamente cosa sono e come funzionano gli ormoni (termine coniato nei primi del ‘900 derivante dal verbo greco “ormao” per indicare le “sostanze che stimolano o risvegliano”).

Negli organismi viventi il corretto funzionamento di tantissime funzioni vitali e non (come la crescita, il ciclo ovarico, la produzione d’insulina e quindi l’assorbimento del glucosio, la produzione dell’adrenalina che aumenta il flusso sanguigno nei muscoli scheletrici e lo riduce nel tratto gastro-enterico, ecc.) è regolato dal buon funzionamento del sistema endocrino spesso in collaborazione con altri sistemi (principalmente con il sistema nervoso).

Il sistema endocrino fondamentalmente è costituito da specifiche ghiandole (es. l’ipofisi, la porzione endocrina del pancreas, la tiroide, le paratiroidi, il timo, le ghiandole surrenali e le gonadi: testicoli e ovaie) le quali producono distinti ormoni che, entrando nel circolo sanguigno (oppure attraverso i fluidi interstiziali: ormoni paracrini), arrivano nelle cellule bersaglio di particolari organi (alcuni ormoni agiscono sulle stesse cellule che li producono: ormoni autocrini) esplicitando la loro specifica funzione. Se tale sistema viene in qualche modo “disturbato”, si hanno effetti sul regolare funzionamento di alcuni organi che si ripercuotono sulla salute dell’organismo (uomo e/o specie animali).

Gli ormoni agiscono sempre in dosi piccolissime e per poter compiere il loro lavoro devono legarsi ad un specifico recettore posto nella membrana plasmatica (cioè nella superficie esterna) delle cellule bersaglio. Il processo può essere rappresentato come segue:

C-R + Ormone

dove C è Cellula bersaglio, R è il Recettore presente nella Cellula bersaglio e O rappresenta l’Ormone che si lega al Recettore inducendo la Cellula ad effettuare una specifica risposta.

Gli interferenti endocrini (detti anche perturbatori o distruttori endocrini) sono costituiti da un grande ed eterogeneo gruppo di sostanze chimiche che si possono trovare nell’ambiente come contaminanti persistenti (quindi di facile concentrazione negli organismi viventi), in molti prodotti di consumo di uso comune, ma anche come sostanze naturali. Questi interferenti riescono ad alterare il normale funzionamento del sistema endocrino in quanto possono “spegnere”, “accendere” o “modificare” i segnali inviati dagli ormoni. Secondo il seguente schema:

C-R + IE

dove IE rappresenta l’Interferente Endocrino.

In questo caso si può avere una risposta eccessiva rispetto a quella generata dal normale ormone, oppure una risposta bassa o nessuna risposta (nel caso di C-R + IE + O).

Quali sono gli Interferenti Endocrini più conosciuti?

Gli interferenti endocrini più studiati e quindi conosciuti sono:

  1. alcuni PCB (PoliCloroBifenili), composti organici di origine industriale, molto adoperati negli anni passati, che inquinano soprattutto i sistemi idrici (mari e acque dolci) accumulandosi nei pesci. L’assunzione prolungata di PCB può determinare problemi al fegato e al sistema nervoso;
  2. alcune Diossine, sostanze organiche eterocicliche spesso prodotte durante i processi di combustione che possono generare effetti neurotossici, tumori e alterazione del corretto funzionamento del sistema endocrino;
  3. il Perfluorottano Sulfonato (PFOS) e l’Acido Perfluorottanoico sale ammonico (PFOA). Sono entrambi dei composti chimici molto persistenti nell’ambiente che riescono ad accumularsi in alcuni organismi viventi (es. nei pesci). Il PFOA si può trovare anche nella polvere degli ambienti confinati. In generale questi due composti si possono trovare nei rivestimenti idrorepellenti o antimacchia dei tessuti, nei ritardanti di fiamma (contenuti nelle schiume di certi materassi e sedili per auto), in alcune vernici per pavimenti, nella carta per uso alimentare resistente all’olio, ecc. In passato il PFOA è stato utilizzato per la fabbricazione di alcuni rivestimenti antiaderenti di utensili (padelle e pentole). La frequente ed elevata esposizione a questi due IE può causare danni alla tiroide, al fegato e infertilità;
  4. gli Eteri Bifenili Polibromurati (PBDE). Queste sostanze sono adoperate principalmente come ritardanti di fiamma, per la produzione di arredi (es. mobili, tendaggi e tappeti), nelle schiume di poliuretano adoperate nelle imbottiture, ecc. Sino al 2006 erano presenti anche nelle apparecchiature elettriche. I PBDE generano bio-accumulo nella catena alimentare (per questo motivo sono considerati inquinanti organici persistenti: POPs) e possono, agendo sulla tiroide, interferire con lo sviluppo neurologico e determinare disturbi comportamentali;
  5. alcuni Fitofarmaci, soprattutto i pesticidi (insetticidi, fungicidi, rodenticidi e gli erbicidi) e altri xenobiotici (alcuni organo fosforici, cloro organici, triazoli, imidazoli e le triazine), possono essere in grado, soprattutto se assunti con continuità e in certe dosi, di creare fenomeni da interferenza endocrina. Questo evento si può verificare negli addetti ai lavori per il non rispetto delle comuni norme di sicurezza sul lavoro oppure nei consumatori quando i produttori primari (cioè gli agricoltori) non rispettano il tempo di sospensione (cioè i giorni che devono passare tra l’uso dei fitofarmaci e la raccolta dei prodotti vegetali: frutta ed ortaggi) quindi si possono avere alte concentrazioni di residui dei fitofarmaci adoperati;
  6. alcuni Ftalati come il DEHP (Dietilesilftalato), plastificante usato soprattutto per rendere morbido il PVC (Cloruro di Polivinile). Il DEHP lo si può ritrovare in alcuni imballaggi, nelle confezioni blister, in alcune pellicole, nei rivestimenti delle auto, nei contenitori usa e getta, nei tappi a corona, in alcuni prodotti da cancelleria/ufficio, ecc. In passato si è abusato di questo IE, ma per fortuna negli ultimi anni il suo utilizzo sta diminuendo. Il DEHP può causare infertilità (per modificazione della funzionalità degli ormoni sessuali: testosterone e estrogeni), alterare la funzionalità del fegato (modificando il metabolismo dei grassi) e può facilitare l’insorgenza della sindrome metabolica (obesità, diabete, ecc.);
  7. il Bisfenolo A (BPA) sostanza presente in alcune sostanze plastiche (soprattutto in quelle trasparenti e resistenti alle azioni meccaniche e alle alte temperature) e in certi additivi chimici. Si può trovare anche in alcuni alimenti per migrazione dal contenitore (imballaggio primario che viene a contatto con il cibo contenuto) e per cessione del rivestimento protettivo interno (in resine epossidiche) di alcune lattine per alimenti e bevande. Il BPA può creare disturbi riproduttivi in quanto ha effetti simili agli estrogeni. Può alterare il sistema immunitario e la funzione tiroidea. Pare che gli effetti più marcati si hanno nei feti e nei neonati;
  8. alcuni principi utilizzati nei cosmetici. I cosmetici sono mix di sostanze utilizzate per il miglioramento estetico della pelle (quindi non devono possedere alcuna funzione curativa delle patologie cutanee). Tra l’INCI (International Nomenclature of Cosmetic Ingredients), cioè l’elenco dei diversi ingredienti (aggiornato periodicamente dalla Commissione europea) adoperati nei prodotti cosmetici, spesso vi sono dei conservanti ad azione anti microbica. Infatti, in molti cosmetici potrebbero svilupparsi pericolosi agenti patogeni (Candida albicans, Pseudomonas aeruginosa, Stafilococco aureus, Aspergillus niger, Eschericchia coli, ecc.) che in determinate occasioni possono causare seri danni alla salute umana. Gli antimicrobici utilizzati nei cosmetici sono tanti, ma tra questi vi è una categoria che da anni sta facendo discutere: i Parabeni, gruppo di sostanze (Methyl Paraben, Ethyl Paraben, Prophyl Paraben, IsoProphyl Paraben, Butyl Paraben, IsoButhyl Paraben, Sodium Methyl Paraben e Sodium Propyl Paraben) molto efficaci e dal costo medio-basso. Secondo alcuni studi riescono a interagire con il sistema endocrino (attività estrogenica e anti-androgenica) aumentando il rischio di tumori al seno. In realtà la questione inerente la genotossicità e la capacità co-tumorale dei parabeni è ancora in piena discussione ad ogni modo è bene evitare l’uso dei cosmetici contenenti parabeni nei bambini al di sotto dei tre anni. Aspetto alquanto curioso può essere che tra gli additivi alimentari, riscontrabili attraverso la lettura delle etichette degli alimenti (es. nei succhi e nettari di frutta), vi possono essere alcuni parabeni (E214 e l’E19) impiegati come antimuffa;
  9. alcuni IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici come i benzopireni e i benzofluoranteni) che si possono formare in ambito domestico e nella ristorazione per eccessiva cottura (carbonizzazione) soprattutto degli alimenti ricchi di proteine quali la carne e i pesci cotti alla brace. In realtà si possono formare anche durante le combustioni che avvengono nei processi industriali, durante la combustione delle candele, dell’incenso, delle sigarette, sigari e pipe. Gli IPA possono essere causa di processi genotossici e di tumori collegati a disfunzioni ormonali (tumore alla prostata, carcinoma mammario post menopausale, ecc.);
  10. alcuni metalli presenti nell’ambiente come inquinanti possono interferire con i meccanismi endocrini. Tra questi vi è il famigerato Arsenico, che oltre ad esercitare diversi effetti negativi sulla salute umana, interferisce con il meccanismo degli estrogeni da cui si ipotizza che possa aumentare il rischio di tumori al seno.

Questi composti, spesso molto comuni nella vita quotidiana, oltre all’incremento del rischio di patologie riproduttive (infertilità, endometriosi, aborto, criptorchidismo, intersessualità, ipospadia, diminuzione della qualità del seme umano, ecc.) possono generare anche alcuni tipi di tumori (specialmente al seno e nei testicoli), possono essere causa di disturbi comportamentali nell’infanzia, forse anche del diabete e dell’obesità e sicuramente interferiscono con lo sviluppo cerebrale. Le conseguenze negative generate dagli IE possono essere incrementate dall’effetto sommatoria (effetto cocktail) causato dalla possibile assunzione/esposizione multipla e cronica a diversi interferenti endocrini (Cumulative Risk Assessment).

Come si può ridurre o evitare l’esposizione agli Interferenti Endocrini?

Accertata la pericolosità di alcune sostanze con funzione di IE, considerata la presunta possibilità che lo siano anche altre molecole chimiche ancora oggetto di studi e tenuto conto del fatto che tutte queste sostanze “convivono” con noi, risulta necessario assumere verso questi probabili e/o sicuri interferenti endocrini delle misure atte a ridurre, ove possibile, l’interazione con il nostro organismo.

Le misure preventive possono essere generiche (cioè comportamenti validi per tutti gli IE) e specifiche quindi pertinenti ai singoli IE.

Tra le principali misure preventive generiche vi sono sicuramente i seguenti accorgimenti:

  1. non riutilizzare mai i recipienti in plastica per gli alimenti se sono di tipo monouso;
  2. non utilizzare gli utensili da cottura (padelle, pentole, ecc.) antiaderenti se se il loro rivestimento interno risulta deteriorato e soprattutto non acquistarli via internet se non si è sicuri della loro provenienza (evitare queli utensili antiaderenti extra UE quindi privi della sigla CE);
  3. quando si cuociono gli alimenti bisogna che ci sia un’adeguata ventilazione oppure utilizzare la cappa aspirante;
  4. non travasare mai i liquidi caldi (es. alimenti) in contenitori di plastica che non sono stati fabbricati per sopportare le alte temperature. Prima di effettuare questa operazione è bene far raffreddare il liquido (es. latte, acqua). Per tale motivo sono stati eliminati dal commercio i biberon in policarbonato che comunque si possono ancora trovare all’estero e/o acquistare in internet;
  5. le pellicole trasparenti e le carte per alimenti vanno sempre utilizzate rispettando le indicazioni del produttore che sono obbligatoriamente riportate in etichetta;
  6. non assumere gli alimenti con parti carbonizzate (cioè bruciate) come spesso accade nella cottura alla brace della carne e del pesce e nelle pizze;
  7. ridurre il consumo degli alimenti affumicati a caldo;
  8. limitare ogni forma di combustione negli ambienti chiusi (casa, ufficio, ecc.) specialmente dovuta a sigarette, sigari, pipa, candele e incenso. Se ciò dovesse accadere bisogna che si effettui un adeguato ricambio dell’aria;
  9. se possibile moderare l’utilizzo dell’abbigliamento trattato con idrorepellenti e antimacchia;
  10. nell’acquisto di componenti d’arredo per la casa e l’ufficio limitare la scelta di quei prodotti fabbricati con PVC morbido in quanto può contenere DEHP.

Un po’ di storia sugli Interferenti Endocrini

A seguito del successo di un libro inchiesta sugli effetti dannosi (in particolare sul comportamento sessuale e sulla riproduzione) sulle specie animali e sull’uomo riscontrati nella zona dei Grandi Laghi e generati da non specificate sostanze chimiche, nel 1991 l’autrice del libro, Theodora Colborn, organizzò una conferenza nel Wisconsin (Stati Uniti) invitando 21 autorevoli ricercatori.

Nell’ambito di quell’incontro si parlò per la prima volta di Interferenti Endocrini i quali vennero definiti come “sostanze esogene (quindi non presenti originariamente negli organismi) che causano effetti avversi in un organismo intatto o nella sua discendenza, come conseguenza di modifiche delle sue funzioni endocrine”. Al termine della conferenza venne anche pubblicata una sorta di dichiarazione che informava del pericolo derivante da questi composti.

Negli anni seguenti si susseguirono diverse pubblicazioni scientifiche sugli IE, che grazie anche all’interessamento del vicepresidente statunitense Al Gore il problema degli IE cominciò ad interessare i consumatori, i mass media e gli organi di controllo.

Per meglio comprendere l’evoluzione degli IE risulta indispensabile analizzare il susseguirsi delle varie definizioni che vi furono date. La Commissione europea nel 1996 li ha definiti come “agenti esogeni che causano effetti avversi sulla salute di un organismo intatto o della sua discendenza, in seguito ad alterazioni della funzione endocrina”. Sempre nel 1996 l’EPA (Enviromental Protection Agency: Agenzia americana per l’ambiente) ha stilato una definizione meno generica “un IE è un agente esogeno che interferisce con la produzione, la liberazione, il trasporto, il metabolismo, i legami, l’azione o l’eliminazione degli ormoni naturali endogeni che sono responsabili del mantenimento dell’omeostasi e della regolazione dei processi di sviluppo”. Negli anni successivi si susseguirono diverse definizioni tra le quali la più autorevole fu quella enunciata dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) “un IE è una sostanza esogena che altera la/le funzione/i del sistema endocrino causando di conseguenza effetti avversi sulla salute di un organismo intatto, della sua discendenza o delle sue (sotto)popolazioni”. Questa definizione, rispetto alle precedenti, include gli effetti deleteri nelle popolazioni e racchiude il concetto di sostanza dannosa che può agire isolata oppure affiliata ad altre. Ovviamente l’assenza di una definizione univoca e quindi condivisa da tutti ha sempre creato seri problemi nell’ambito della valutazione internazionale dei rischi e nella regolamentazione di queste sostanze.

Le vigenti norme quanto ci tutelano dall’esposizione agli Interferenti Endocrini?

Grazie alla normativa vigente molte sostanze che contengono IE sono regolamentate e alcune anche vietate. Questo è il caso di specifici pesticidi e biocidi.  Quindi si può affermare che la corrente legislazione già attua delle tutele nei confronti dei consumatori e dei lavoratori.

Però recentemente c’è stata un’azione dell’UE che potrebbe portare ad un’evoluzione della regolamentazione degli interferenti endocrini. Infatti il 15 giugno 2016, dopo due anni di attesa, la Commissione europea ha indicato al Consiglio e al Parlamento europeo di approvare la definizione dell’OMS del 2002 sugli IE e di identificare gli interferenti endocrini secondo le evidenze scientifiche quindi attraverso severi criteri scientifici.

Secondo i garantisti tale approccio può assicurare un livello elevato di protezione della salute umana e dell’ambiente in quanto si ridurrebbe al minimo l’esposizione agli IE e finalmente si può raggiungere la certezza del diritto.

Secondo i criteri identificati dalla Commissione europea per identificare gli IE bisogna utilizzare tutte le pertinenti evidenze scientifiche, seguire un approccio basato sul “peso dell’evidenza” e applicare un rigoroso riesame scientifico. In altre parole si deve dimostrare l’effetto avverso alla salute umana, il quale deve avere un meccanismo d’azione di tipo endocrino e ci deve essere un nesso causale tra l’effetto avverso e il meccanismo d’azione. Insomma, rispetto alle altre sostanze chimiche nocive, per gli IE non ci si deve limitare a dimostrarne l’effetto negativo (end point), ma si deve esaminare e dimostrare anche il suo meccanismo d’azione. Tutto ciò può sembrare giusto e legittimo, ma in realtà dietro la proposta della Commissione europea ci sono delle ampie zone d’ombra.

Innanzitutto va detto che i criteri proposti dalla Commissione UE per identificare gli IE non considerano gli effetti sugli animali (in natura e/o in laboratorio) lasciando adito a molte riflessioni che hanno già acceso non indifferenti polemiche, infatti, risulta molto difficile dimostrare gli effetti degli IE e il loro meccanismo d’azione senza poter studiare gli effetti indotti o avvenuti in natura sugli animali (molti allarmi sugli IE provengono proprio dal mondo animale). Va anche detto che riuscire a definire una sostanza come Interferente Endocrino attraverso “prove certe” dei suoi effetti negativi e la pertinenza rispetto alla salute umana (quindi non sarebbero considerati tutti i casi che si registrano nel regno animale giacché “non pertinenti”) sono traguardi molto ardui da avvicinare tanto da poter ledere molte delle promesse fatte attraverso le norme sui pesticidi. Casi come l’Imposex, alterazione riproduttiva nelle popolazioni selvatiche di Buccino (mollusco gasteropode) consistenti nella crescita dell’organo genitale maschile (cioè del pene) nelle femmine a causa dell’inquinamento da IE (precisamente da composti metallorganici definiti stannani), non verrebbe considerata pertinente in quanto tale fenomeno non è stato ancora osservato nell’uomo!

Oltre a tutto ciò va detto anche che la regolamentazione delle sostanze chimiche nocive o potenzialmente tali può essere fatta basandosi sul “pericolo” oppure sul “rischio”. Nel primo caso si disciplinano le sostanze secondo le specifiche proprietà senza considerare l’esposizione invece nel secondo caso (quello fondato sul “rischio”) si considera l’esposizione. La maggior parte dei composti chimici sono regolamentati secondo un approccio basato sul “pericolo”, ma con questa proposta della Commissione europea, per quanto concerne gli IE, si torna alla stima del “rischio” quindi è come se si legalizzasse la misurazione della nocività degli IE quando sono in commercio  in quanto devono essere valutati in funzione del loro livello di esposizione. Proprio l’opposto di quanto stabilisce il Regolamento del 2009 sui pesticidi che si fonda sulla valutazione del “pericolo”.

Dietro la scelta della stima del rischio si cela una “scomoda e oscura verità” consistente nel fatto che con le sue proposte la Commissione europea vorrebbe negare alla popolazione il “Principio di Precauzione” previsto dall’art. 7, del Regolamento 178/2002 (norma concernente i requisiti generali della sicurezza alimentare) il quale recita “ 1. Qualora, in circostanze specifiche a seguito di una valutazione delle informazioni disponibili, venga individuata la possibilità di effetti dannosi per la salute ma permanga una situazione d’incertezza sul piano scientifico, possono essere adottate le misure provvisorie di gestione del rischio necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute che la Comunità persegue, in attesa di ulteriori informazioni scientifiche per una valutazione più esauriente del rischio.

  1. Le misure adottate sulla base del paragrafo 1 sono proporzionate e prevedono le sole restrizioni al commercio che siano necessarie per raggiungere il livello elevato di tutela della salute perseguito nella Comunità, tenendo conto della realizzabilità tecnica ed economica e di altri aspetti, se pertinenti. Tali misure sono riesaminate entro un periodo di tempo ragionevole a seconda della natura del rischio per la vita o per la salute individuato e del tipo di informazioni scientifiche necessarie per risolvere la situazione di incertezza scientifica e per realizzare una valutazione del rischio più esauriente”.

Il considerando n. 21 dello stesso Regolamento dice che “Nei casi specifici in cui vi è un rischio per la vita o per la salute, ma permane una situazione di incertezza sul piano scientifico, il principio di precauzione costituisce un meccanismo per determinare misure di gestione del rischio o altri interventi volti a garantire il livello elevato di tutela della salute perseguito nella Comunità”.

In parole semplici si può affermare che il principio di precauzione attesta che quando ci sono minacce di serio danno, l’assenza di certezze scientifiche non deve essere utilizzata come ragione per ostacolare l’adozione di misure di prevenzione della salute umana. Di conseguenza se si ipotizza che una sostanza possa fare del male, ma non ci sono solide evidenze scientifiche, nel frattempo che si effettuano gli studi, secondo il principio di precauzione, quella sostanza dovrebbe essere regolamentata cioè si dovrebbe disciplinarne l’uso attraverso una limitazione o addirittura il divieto.

Insomma, abbandonando per gli IE il principio di precauzione, si rischia seriamente di essere meno tutelati da questi composti che ormai si trovano in moltissimi prodotti di largo consumo. Tutela che non riguarda la sola salute degli europei, ma anche il costo che gli Stati dell’UE dovrebbero sostenere per la cura delle patologie indotte dagli IE, costo che è stato stimato per intera Europa tra i 157 e i 288 miliardi di euro all’anno.

Conclusioni

Dall’analisi appena fatta appare evidente che gli Interferenti Endocrini possono essere un serio problema per l’ambiente e per la salute umana considerata soprattutto la loro ubiquità (alimenti, imballaggi, prodotti per la casa, abbigliamento, inquinanti ambientali, ecc.).

Nonostante ciò la Commissione europea vuole rendere, con il pretesto di una maggiore tutela della salute umana, più difficile l’identificazione di queste sostanze e proponendo la valutazione dei rischi, e non del pericolo, di fatto non prevede l’applicazione del principio di precauzione. In definitiva si avrebbe una minor tutela della salute perché prima di dimostrare che una sostanza è un IE, e quindi eliminarla dal commercio, ci potrebbero volere anche parecchi anni durante i quali la sostanza girerebbe liberamente nel mercato agendo indisturbata…

Insomma se il disegno proposto dalla Commissione dell’UE dovesse essere quello delineato si rischia seriamente di andare incontro a un clamoroso insuccesso nei confronti della salute collettiva.

A questo punto non mi resta che augurare a tutti buone vacanze con i nostri nuovi, amabili e soprattutto salutari “compagni di vita”…

© Produzione riservata

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Dr. Luciano O. Atzori

Biologo – Esperto in Sicurezza degli Alimenti e in Tutela della Salute
Divulgatore Scientifico – Consulente aziendale

Co-founder di ISQAlimenti.it