Oli non più adatti alla frittura – aspetti sanzionatori

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Gli esperti del settore sanno che la frittura è quel metodo di cottura che più di tutti mette a dura prova la stabilità di un olio.

Proprio per questa ragione quando si effettua tale trattamento termico culinario gli aspetti da tenere sotto controllo sono diversi: la temperatura, la qualità e le caratteristiche chimiche

dell’olio utilizzato, le tecniche impiegate, la conoscenza riferita all’utilizzo delle attrezzature e degli strumenti adatti.

La domanda che spesso sento fare ai miei amici durante una cena davanti ad un piatto di frittura è: siamo davvero sicuri che la maggioranza dei pubblici esercizi opti spontaneamente per i grassi più idonei alla frittura?

Aggiungerei, ossia per quegli oli che potremmo definire di “qualità” e di conseguenza anche i più cari in termini di gestione aziendale?

Ciò che rispondo in queste occasioni è che – fondamentale – può risultare il ruolo di un attento Consulente del settore che dovrebbe non solo vigilare perché ciò avvenga, ma soprattutto utilizzare la via della formazione nei confronti degli OSA (Operatori del Settore Alimentare), una delle strade da percorrere, sempre e comunque, per inculcare negli addetti ai lavori che all’interno delle cucine il controllo igienico-sanitario è un qualcosa che non può essere improvvisato.

Già in passato sono state emesse sentenze indicanti che, produrre cibo (nel caso specifico era pesce fritto) destinato alla somministrazione diretta ai clienti del proprio esercizio con olio fortemente alterato (presenza di componenti polari superiori al 25%) costituisce violazione al disposto dell’art. 5 lett. d) e 6 della legge 30 aprile 1962, n. 283.

Indicando così un illecito penale.

Come confermato, anche nel 2017, dalla Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione che ha convalidato la sentenza di condanna del Tribunale di Napoli nei confronti di un soggetto che utilizzava per il consumo olio di frittura alterato nei suoi componenti. Nello specifico tale olio era risultato con “tenore di composti polari”, pari al 38%, superiore al limite previsto dalla Circolare del Ministero della Sanità (25%) e applicando, anche in questo caso, l’art. 5 lett. d) e 6 della legge 30 aprile 1962, n. 283, prevedendo il divieto di impiego come da esso ben esplicitato: “nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo, sostanze alimentari” che siano “insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte a lavorazioni o trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione”.

Chi tutela e disciplina la salute dei consumatori in questo ambito, lo ricordiamo ancora una volta, è la Circ. MINISAN 11.1.91 n. 1 Oli e grassi impiegati per friggere alimenti del Ministero della Sanità, grazie alla quale risulta ben chiaro come la progressiva alterazione dell’olio e dei grassi, durante il processo di frittura, si evidenzi attraverso una serie di cambiamenti fisico-chimici (intensificazione del colore: imbrunimento, aumento della viscosità, aumento della tendenza a formare schiuma, abbassamento del punto di fumo).

Fondamentale nel determinare la stabilità al riscaldamento degli oli e dei grassi risulta pertanto la differenza nel contenuto in acidi grassi. Proprio per tale motivo gli oli ed i grassi ad alto grado di insaturazione (soprattutto polinsaturi) sono meno indicati per friggere, in quanto meno stabili ai trattamenti termici prolungati e ripetuti, al contrario degli oli d’oliva da considerarsi fra quelli più stabili.

Con tale Circolare il legislatore ha fornito un valido strumento di tutela nei confronti della salute dei consumatore, indicando nell’ Allegati I semplici regole che gli addetti ai lavori dovrebbero considerare un vademecum atto al mantenimento ed il miglioramento delle qualità organolettiche degli alimenti fritti.

Nell’ambito della formazione altresì, proprio in virtù della citata sentenza, sarebbe quindi necessario ed opportuno rammentare agli OSA che un buon indicatore di degradazione degli oli, come esplicitato dall’Istituto Superiore di Sanità, è rappresentato dal contenuto di composti polari derivanti dalla trasformazione chimica (perossidi, acidi grassi liberi, polimeri, ecc.) fissati in valori di tenore massimo pari a 25 g/100 g negli oli e nei grassi utilizzati per la frittura degli alimenti. Valori, questi ultimi, che nell’ambito di un controllo ed eventuale prelievo di campione da parte delle Autorità Competenti, nello svolgimento delle loro attività, saranno comparate ai tenori dell’olio prelevato presso l’attività oggetto di controllo.

È ben comprensibile infine come, in attività nelle quali la pratica della frittura è molto esercitata se non addirittura l’unica attività culinaria svolta, il cambio dell’olio delle friggitrici, o l’acquisizione di strumenti atti alla verifica del tenore dei composti polari siano elementi da non trascurare e sottovalutare, non solo in quanto valido aiuto nel controllo degli aspetti igienico-sanitari aziendali, ma anche indispensabili ad evitare spiacevoli “inconvenienti”.

 

© Produzione riservata

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Dr.ssa Sabina Rubini

Biologa ed Esperta in Sicurezza degli Alimenti
Consulente Aziendale

Co-founder ISQAlimenti.it