di Luciano O. Atzori
Recentemente sono stato invitato ad un importante programma televisivo della mattina trasmesso dalla RAI per parlare del lavaggio degli alimenti prima di cucinarli, ma a causa di un grave fatto di cronaca avvenuto la notte prima, che ha comportato diversi collegamenti con l’inviato RAI sul posto per spiegare l’accaduto e le possibili conseguenze, non si è avuto il tempo per affrontare dettagliatamente la problematica quindi eccomi qui a scrivere un conciso, ma dettagliato articolo sul lavaggio di alcuni alimenti.
Sin da quando si è piccoli, i nostri genitori ci insegnano che bisogna lavare bene il cibo che mangiamo (ortofrutta, ecc.) e, in certi casi, anche quello che va cucinato. Questo vecchio e sano principio è valido per tantissimi alimenti, ma non per tutti, infatti, in alcuni casi si possono determinare alcune problematiche.
Alcune volte i cibi, venendo fortemente idratati con il lavaggio (es. se messi in ammollo o sotto l’acqua corrente), possono alterare le loro specifiche caratteristiche organolettiche (odore, sapore, consistenza, ecc.) rendendo questi cibi meno appetibili e quindi diminuendone il valore merceologico e di conseguenza anche quello commerciale.
Questo è il caso dei funghi che spesso cambiano di gusto e in compattezza rischiando addirittura di diventare collosi e/o molli. In questo caso basta asportare il terriccio eventualmente presente nella parte terminale del gambo con un coltellino, verificare se ci sono dei buchi ambigui (che indicano l’eventuale presenza di alcuni parassiti dei funghi) e spazzolare la testa e il gambo con apposito spazzolino provvisto di setole morbide. Qualora alcuni funghi dovessero essere particolarmente sporchi si possono pulire con del panno carta leggermente inumidito e successivamente asciugarli.
Altre volte lavando gli alimenti crudi prima di cucinarli si rischia qualcosa di più che la variazione dell’aspetto e dell’appetibilità, infatti, si potrebbe verificare la cosiddetta contaminazione microbica crociata (cioè il passaggio di microrganismi patogeni da un alimento o supporto contaminato ad un altro alimento e/o utensile che ne erano privi) a seguito degli schizzi di acqua e al non corretto uso dei piani di lavoro (es. taglieri), degli utensili (coltelli, ecc.) e attraverso le mani dell’operatore/casalinga.
Questa problematica è molto frequente soprattutto con alcuni alimenti (pollo, pesce, carne rossa, ecc.) che spesso sono provvisti di una carica batterica “fisiologica” (cioè naturalmente presente nelle parti edibili) che può essere accentuata durante la macellazione e/o lavorazione iniziale (determinando una contaminazione primaria).
Generalmente i microrganismi potenzialmente presenti sono la Samonella, l’Escherichia coli, il Campylobacter, la Listeria, ecc. Insomma batteri che in alcune situazioni (bambini piccoli, donne in gravidanza, anziani e defedati) possono essere pericolosi.
Tra gli alimenti più apprezzati e cucinati al mondo c’è sicuramente il POLLO, basta fare una ricerca su Instagram (#chicken) e compariranno 26,5 milioni di post che ritraggono questo volatile cucinato in tantissimi modi secondo il Paese e la cultura di appartenenza.
Il pollo (in quanto “carne bianca”) raffigura il mangiare salutare (fonte di proteine, di vitamine, ecc.), a basso prezzo (quindi accessibile a molti) e facile da cucinare.
Giusto per dare un’idea di quanto sia “popolare” la carne di pollo si fa presente che solo in Italia si allevano annualmente circa 500 milioni di polli (ovviamente la stragrande maggioranza di questi provengono da allevamenti intensivi).
Nonostante il pollo sia un alimento conosciuto a tutti e sin da bambini ci insegnano a lavarlo prima di cucinarlo, in verità è uno tra gli alimenti da non lavare assolutamente prima della cottura in quanto le carni di questi volatili spesso sono ricche di microrganismi che di certo non vengono eliminati con il semplice lavaggio, ma solo con l’appropriata cottura (e il raggiungimento della temperatura di 75°C al cuore della carne per almeno qualche minuto).
Generalmente i batteri presenti sulle carni del pollo sono la Salmonella e qualche microrganismo fecale dovuto alla scarsa professionalità durante l’eviscerazione dell’animale che determina il passaggio di questi batteri dall’intestino alla carne.
Negli ultimi anni si sta verificando anche la presenza del batterio Campylobacter soprattutto a seguito del forte stress a cui sono sottoposti questi avicoli negli allevamenti intensivi dove per ragioni di ridotto spazio e di elevata densità abitativa i polli non vivono nel pieno rispetto del loro reale benessere psico-fisico. Se a questo fattore si somma che molti degli attuali polli in circa 40 giorni arrivano a pesare anche 3-4 kg (contro il chilo circa in 80 giorni dei polli allevati cinquant’anni fa attraverso l’allevamento brado o semibrado), grazie alla spinta selezione genetica che determina un accrescimento molto veloce con rese in carne elevatissime, si intuiscono le difficoltà che hanno questi polli a sorreggersi sulle gambe (alcune volte muoiono di infarto o di problemi respiratori) che determina un ulteriore stress.
Tutto questo stress aumenta la probabilità che i polli da carne (Broiler) producano più Noradrenalina, conosciuta anche come Norepirefrina (ormone dello stress), che a sua volta favorisce la migrazione del Campylobacter dall’intestino ad altri organi e ai muscoli (cioè alla carne).
Questo fenomeno è ancora più frequente se nell’allevamento intensivo si esegue la pratica dello “sfoltimento” consistente nel prelevare circa il 30% dei polli di un capannone per portarli al macello con l’obiettivo di lasciate più spazio ai rimanenti polli in modo tale da rispettare la densità imposta dalla normativa vigente. Questa pratica di massimizzazione della produzione spesso genera un forte stress negli animali rimanenti i quali aumentano la produzione di noradrenalina.
Nella maggior parte dei casi la campilobacteriosi determina sintomi blandi tipici delle infezioni gastrointestinali (nausea, vomito, dolori addominali, diarrea, febbre, ecc.) e ha un decorso benigno, però in alcuni soggetti fragili come i bambini piccoli, i defedati e gli anziani può evolvere in meningite e/o endocardite (casi rari) e nelle donne in gravidanza può essere causa di aborto settico.
Appare chiaro che il pollo è meglio non lavarlo prima di cucinarlo per ridurre la possibilità di contaminazione crociata e in ogni caso è consigliato sanificare i piani di lavoro e gli utensili utilizzati per preparare il pollo prima di portarlo a cottura. Oltre all’applicazione di queste semplici regole igienico-sanitarie è palese che sia meglio, se possibile, consumare carne di pollo biologico o allevato allo stato brado (free range) dove nella sua vita sicuramente ha molti meno eventi stressanti in quanto conduce un’esistenza per lo più naturale nel rispetto del benessere animale.
Alcuni consumatori consapevoli, al fine di evitare lo stress di questi volatili durante l’allevamento, acquistano il cosiddetto galletto che generalmente non supera i 400 grammi. In realtà, molto spesso, questo volatile non è appartenente ad una razza che non ha subito spinte genetiche finalizzate all’accrescimento rapido con evidenti alte rese al macello, bensì è un comune Broiler macellato da giovane (cosiddetto “pulcinotto” di circa 10-20 giorni).
Un altro alimento che è bene non lavare sono le UOVA perché durante questa pratica si potrebbe danneggiare la naturale barriera fisica di cui sono provviste (cioè la cuticola) che serve da “sbarramento” contro l’ingresso di eventuali microrganismi. Se poi assieme all’acqua del lavaggio si utilizzano anche detergenti e/o disinfettanti si ha un doppio danno poiché queste sostanze chimiche potrebbero riuscire a penetrare nell’uovo (perché il guscio non è impermeabile) causando una contaminazione chimica dell’alimento che di certo non è un qualcosa di salutare e non eliminabile con la cottura!
Altro aspetto che potrebbe determinare il passaggio di microrganismi all’interno delle uova è dato dalla condensa che si forma sul guscio se le uova inizialmente refrigerate (cioè conservate a +4°C) vengono lasciate a temperatura ambiente. Questo è il motivo per il quale la normativa dice che le uova vanno trasportate e immagazzinate alla temperatura più adatta e costante al fine di garantire una conservazione ottimale delle loro caratteristiche igieniche. Questo è il motivo per il quale nella GDO (Grande Distribuzione Organizzata) e nei diversi punti vendita troviamo le uova esposte a temperatura ambiente. Ma allora perché in etichetta c’è scritto (come indicazione per i consumatori) di “conservare le uova in frigorifero” (cioè a +4°C) “sino al momento del consumo”? Sia per ridurre l’eventuale proliferazione microbica (soprattutto di Salmonella enteritidis) all’interno dell’uovo e anche per non avere la formazione della condensa.
Ad ogni modo le uova non andrebbero lavate per non avere la rottura della cuticola e per evitare la contaminazione crociata. Se proprio dovesse risultare necessario, poco prima di cucinare le uova, si può utilizzare un panno umido.
Un altro alimento che non necessita di lavaggio sono i prodotti di IV Gamma (prodotti ortofrutticoli destinati all’alimentazione umana, freschi, confezionati e pronti per il consumo).
Questi alimenti, che negli ultimi anni stanno vivendo un buon successo tra i consumatori poiché salutari e di facile e veloce utilizzo, prima di essere confezionati sono sottoposti a diversi trattamenti che ne garantiscono la salubrità (selezione delle materie prime e quindi la loro cernita, prelavaggio, taglio, lavaggio, risciacquo, ecc.) alcuni dei quali in ambiente leggermente acido (per ridurre l’eventuale proliferazione microbica e per ridurre i fenomeni degradativi quali l’imbrunimento nella zona del taglio, l’avvizzimento, ecc.) e con l’utilizzo di disinfettanti: inizialmente si usava il cloro e i suoi derivati (successivamente abbandonati per l’odore che conferivano ai prodotti) mentre adesso si preferiscono i peracidi e l’ozono. Ovviamente l’acqua utilizzata in ogni fase è sempre acqua potabile che quindi rispetta tutti i parametri del D.Lgs. 31/2001.
A tutti questi aspetti, che garantiscono la salubrità delle insalate pronte all’uso, vi è anche la loro brevissima shelf-life (ossia la durata commerciale del prodotto) che varia tra i 5 e 7 giorni, quindi non in grado di favorire una possibile ricrescita microbica degli eventuali batteri ambientali presenti, se le confezioni di IV Gamma vengono conservate correttamente e a temperature basse (cioè inferiori a +8°C).
Alla luce di tutto ciò è evidente che i prodotti della IV Gamma sono pronti per essere conditi e mangiati senza richiedere il lavaggio.
Particolare attenzione va riposta invece a quelle insalate sempre confezionate, ma che non hanno subito alcuni dei passaggi sopra descritti quindi nelle loro confezioni vi è scritto “da consumarsi previo lavaggio”.
Insomma la regola del lavaggio dei cibi prima della cottura è valida e salutare, ma non sempre, infatti, in alcuni casi può essere inutile o peggiorare le caratteristiche organolettiche degli alimenti oppure addirittura aumentare il rischio di contaminazione microbica con tutto ciò che ne può conseguire.
Ad ogni modo per alcuni alimenti molto deperibili (come la carne, il pesce, ecc.) è importante il mantenimento costante della catena del freddo (+4°C), quindi evitare le interruzioni di questa per sottrarsi alla proliferazione microbica, e un’adeguata cottura in grado di abbattere gli eventuali microrganismi presenti oltre che rendere saporito e spesso più digeribile ciò che mangiamo.
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Dr. Luciano O. Atzori
Biologo – Esperto in Sicurezza degli Alimenti e in Tutela della Salute
Divulgatore e Consulente Scientifico
Co-founder ISQAlimenti.it